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No alla deriva

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26 luglio 2011

Ogni delitto abbia la sua pena

La vicenda di Anders Beirik e dei massacri di Oslo e Utoya, suggerisce anche un commento relativo alle sanzioni da applicare a chi si rende colpevole di tali atti.
Abbiamo appreso che in Norvegia, società definita “aperta” e immancabilmente “progressista”, non esiste nel diritto penale la pena di morte e neppure l’ergastolo.
Il massimo della pena per il colpevole dei massacri suddetti dovrebbe quindi essere di 21 anni.
Questo significa che Beirik potrebbe essere in libertà all'età di poco più di cinquanta anni.
Appare evidente che la pena è sproporzionata, perché troppo mite, rispetto alla colpa e non diviene così un efficace deterrente per eventuali emuli, ma neppure una adeguata punizione per il reo, soddisfazione per i parenti delle vittime e, soprattutto, non protegge da una reiterazione del crimine una volta liberato.
Cosa studia allora una nazione così “progressista” e “aperta” ?
Una forzatura del diritto, per accusare il Beirik di crimine contro l’umanità al fine di vederlo condannare a 30 anni di galera.
Se adotteranno una tale strategia sarà evidente come una eventuale condanna apparterrà alla categoria della condanna politica, né più né meno di un qualsiasi processo intentato a Cuba o nell’Uganda di Amin, in quanto non vi sono gli estremi per un “crimine contro l’umanità”, mancando il requisito della continuità, essendo il delitto un unico, isolato episodio.
Ma vi è un altro rischio, ben maggiore, che una corte indipendente dal potere politico e che sentenziasse solo in base al diritto, come dovrebbe fare qualsiasi magistrato, a fronte di un’accusa infondata mandi assolto il criminale proprio a causa dell'accuso impropria formulata, che, così, tornerebbe libero subito.
La forzatura che la stampa norvegese pare suggerire è inoltre una palese violazione dei principi di diritto che obbligano a giudicare il reo in base alle leggi vigenti, negando la retroattività della legge penale se non “pro reo”.
La “progressista” e “aperta” società norvegese renderebbe così un pessimo servizio alla causa della
Civiltà che vuole le Idee libere di circolare, ma severe punizioni a chi mette in pericolo vite umana e proprietà
.
Appare quindi evidente la limitatezza delle opzioni da parte di chi ha, preventivamente, rinunciato a punire i reati in base alla loro gravità.
La mancata previsione nel diritto penale norvegese della pena di morte e persino dell’ergastolo, obbliga a condannare Breivik ad una pena irrisoria se paragonata al crimine commesso (ancorché 21 anni, se effettivamente scontati, sono un periodo lunghissimo) obbligando quindi, in una scala di proporzionalità doverosa, a ridurre le pene anche per altri e minori reati, rendendo così la punizione inefficacie per gli scopi voluti e dimostra quanto siano nel giusto quelli che, “reazionari” e “identitari”, sostengono la necessità che sia prevista la punizione dell’ergastolo e anche della pena di morte.
Prevedere tali pene nell’ordinamento non significa “doverle” comminare, ma consente di ricorrervi all’occorrenza nel rispetto del principio della deterrenza, della giusta e proporzionata punizione, della soddisfazione dei parenti delle vittime e della difesa sociale dalla reiterazione del reato, quando se ne presentasse l’occasione, senza forzature, senza violare i principi del diritto e senza rischiare di dover comminare pene troppo lievi rispetto alla colpa.



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