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28 settembre 2010

Elogio del “padrone”

I sermoni di Montezemolo e la defenestrazione di Alessandro Profumo dal vertice di Unicredit, mi offrono lo spunto per una riflessione su chi, oggi, dirige l’orchestra nelle aziende italiane.
Nei primi anni del mio ingresso nel mondo del lavoro, c’erano una infinità di aziende statali, tali perchè la sbornia del sessantotto e dell'autunno caldo del sessantanove aveva obbligato lo stato ad accollarsi tutti i carri rotti ed a coprire, con i soldi di tutti, un assistenzialismo fine a se stesso che, con il senno di poi, abbiamo scoperto improduttivo e nocivo.
Le aziende statali che producevano (e non sempre in utile !) erano solo quelle che operavano in regime di monopolio o protette da legislazioni nazionali che le tutelavano dalla concorrenza straniera.
Le aziende private erano poche e piccole, ma guadagnavano a differenza dei carrozzoni pubblici che erano una fabbrica di debiti e di inefficienza, tranne le banche dove il margine era talmente ampio da poter guadagnare nonostante la gestione pubblica.
C’erano ancora i “padroni”.
Imprenditori, banchieri, proprietari delle aziende che non facevano finanza, non avevano master della Bocconi o del MIT, ma avevano un interesse personale all’utile aziendale.
Se l’azienda produceva e guadagnava anche loro guadagnavano.
Se perdeva, loro perdevano denaro proprio.
Certo, c’era anche chi, nascondendosi dietro la formula della società di capitali, non iniettava nuovi capitali e lasciava perdere quello investito, ma comunque era denaro loro che andava in fumo.
Poi i “padroni” sono venuti meno, sostituiti dai “manager”.
Signori vestiti all’ultima moda o con il vezzo snob di distinguersi sbattendo in faccia al prossimo abbigliamenti eccentrici anche in occasioni formali, con la nomea di “progressisti”, in prima fila a votare, in tempi recenti, alle “primarie” del pci/pds/ds/pd , sempre comunque dalla parte del candidato (eletto ancor prima del voto) dell’apparato (si chiamasse Prodi, Veltroni o Bersani non fa differenza alcuna), pronti a pontificare sui massimi sistemi e ad esporre teorie sociali ed ambientaliste eteree e soavemente paradisiache.
Con l’acquisita compiacenza della sinistra quei signori hanno potuto abbattere i costi del lavoro (poi qualcuno si chiede perchè gli stipendi italiani sono inferiori a quelli delle altre grandi nazioni europee ...) con un occhio agli utili con i quali devono accontentare una molteplicità di azionisti.
Così se 25 -30 anni fa una banca era considerata più che solida quando registrava un utile di 200 milioni (100mila euro) , oggi se l’utile scende da 3 miliardi di euro a 2 miliardi si analizzano le cause della “crisi”.
Questi “manager” hanno il massimo potere ma, come si è visto con Profumo, se commettono quel peccato che i greci antichi chiamavano “ubris”, vengono rimossi dalla mattina alla sera.
Naturalmente “cane non mangia cane” e la buonuscita è adeguata, tanto che possono permettersi di rinfrescare la loro immagine “de sinistra” con qualche elargizione benefica, naturalmente ampiamente pubblicizzata.
E il gioco ricomincia.
Il passaggio dal ”padrone” al”manager” coincide con il passaggio dalla economica fondata sulla produzione di beni reali, solidi, a quella fondata sui castelli di carte, sulle contabilizzazioni prive di sottostante, sulla finanza astratta.
Sicuramente è anche l’aspettativa delle persone che ha fatto fiorire tale stortura economica, con l’induzione a possedere beni sempre diversi e sempre nuovi, ma il vecchio e ormai scomparso “padrone”, magari un po’ “Fascista” nei modi, che, poco o tanto, dagli errori di conduzione ci rimetteva di tasca propria è sicuramente una figura più nobile del manager, obbligatoriamente “orientato a sinistra” che quando l’azienda cui è stato preposto non va come dovrebbe, non solo non ci rimette nulla, ma anzi ottiene ponti d’oro per andarsene.
Magari per poi entrare in politica ...

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