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No alla deriva

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23 giugno 2010

Pomigliano:il sì vince ma non convince

Il più coinvolgente tra gli strumenti della democrazia, il referendum, è stato adottato a Pomigliano per sottoporre al parere dei lavoratori l’accordo raggiunto tra la Fiat e quattro organizzazioni sindacali (tutte quelle riconosciute in Fiat con l’eccezione della Fiom/Cgil).
Ha partecipato alla consultazione il 95% degli aventi diritto (considerata la partecipazione che si registra abitualmente nel Sud ...) che, quindi, rendono il referendum pienamente attendibile.
I commentatori si aspettavano una valanga di “sì” all’accordo, considerato che l’alternativa è la chiusura dello stabilimento e la perdita di oltre cinquemila posti di lavoro.
La cgil ha osteggiato l’accordo agitando lo spettro – ormai abituale – della incostituzionalità e, se tale impostazione dovesse essere accolta, sarebbe l’ennesima riprova che la nostra carta costituzionale debba essere rapidamente archiviata, rappresentando un ostacolo, sia pur solo formale, ad ogni progetto di sviluppo e di progresso della Nazione.
A sorpresa i giornali online, dopo che nelle edizioni cartacee avevano scritto di oltre il 70% di favorevoli, ci informano che solo il 62% dei lavoratori ha votato a favore degli accordi, ben il 37% ha seguito il no della cgil.
Sono lavoratori che preferiscono la disoccupazione al lavoro ?
Non credo.
Certamente ci sono, come ovunque, dei “furbi” che pensano di trarre da queste situazioni il massimo del profitto personale a scapito altrui, ci saranno anche dei “duri e puri” che “non capiscono ma si adeguano” e si prestano a scelte ideologiche suicide, ma per lo più credo che siano lavoratori che non credono che la Fiat chiuderà lo stabilimento e che, come sempre, finirà a tarallucci e vino e potranno continuare a fare quel che hanno sempre fatto.
Credo che anche tra i votanti “sì” vi siano numerosi lavoratori che, pur votando favorevolmente per prudenza, siano convinti di poter, ove applicate le nuove norme, continuare a fare quel che hanno sempre fatto.
Per questo la Fiat chiedeva, opportunamente, un “plebiscito” che legittimasse e desse forza a scelte così innovative a favore di una maggiore produttività.
Plebiscito che non ha avuto e, quindi, è legittima la pausa di riflessione prima di dar corso ad un investimento monumentale con una scelta che rappresenterebbe la prima inversione di tendenza rispetto alla esternalizzazione delle produzioni.
Come noto io non sono affatto simpatizzante per la Fiat, azienda che ritengo appartenga agli Italiani che l’hanno ripetutamente salvata con i propri soldi, salvo poi vedere che gli utili finivano solo nelle tasche degli Agnelli fedeli al principio per cui si devono “privatizzare i profitti e socializzare le perdite”.
Ritengo però che l’idea di Marchionne sia coraggiosa, rischiosa, ma di grande rilevanza per l’Italia e per l’inversione di tendenza che rappresenta.
Se spero comunque che dia corso a tale progetto, sono però convinto che i risultati non sarebbero in linea con le aspettative e non vorrei che dovessimo nuovamente metterci le mani in tasca per ripianare errori (o peggio) altrui.
Non ho fiducia che sarebbero rispettati i termini dell’accordo stante anche l’alta percentuale di contrari manifesti e il rischio che basterebbe un ricorso per trovare un magistrato che annulli gli effetti dell’accordo.
La cgil si è assunta una grave responsabilità, unicamente per una scelta ideologica e contro il Governo, che potrebbe portare a fortissime tensioni sociali se la Fiat deciderà che le garanzie di applicazione dell’accordo sono troppo deboli rispetto al rischio economico che si assume.
Sia però chiaro che, qualunque cosa accada, non è più il tempo per interventi pubblici che “socializzino le perdite”, magari imponendoci qualche balzello o aumentandone altri.



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