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No alla deriva

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08 febbraio 2009

Mogli e buoi dei paesi tuoi

Ha fatto rumore lo sciopero degli operai inglesi “contro” la decisione di una ditta italiana, cui la Total aveva assegnato un appalto, di utilizzare lavoratori italiani e di altre nazioni, invece di ricorrere al mercato britannico.
La vicenda si è conclusa con l’introduzione di una norma che prevede un 50% di posti riservati agli inglesi.
Si è gridato al delitto di leso globalismo.
A me, invece, sembra un evento di buon auspicio.
La crisi mondiale ha questo di buono: ognuno riscopre le necessità del proprio popolo, della propria nazione.
L’economia di carta, crollata sotto i colpi delle bancarotte finanziarie, può lasciare il posto all’economia reale, quella che produce beni e servizi, quella che è e resta il volano di ogni progresso della nostra società.
Il globalismo va bene quando consente la libera circolazione delle merci, in un libero mercato.
Poi, facciamo anche in questo caso un distinguo.
Va bene quando le merci sono prodotte in condizioni e con tutele (per la salute dei consumatori e per la sicurezza dei lavoratori) equivalenti, perché il costo del lavoro e della sicurezza è pari.
Il libero mercato richiede un correttivo (cioè dei dazi e se necessario dei blocchi) quando arriva merce che non è trattata nella stessa maniera, che viene prodotta senza osservanza dei principi di sicurezza del lavoro, della salute dei consumatori o, anche, dei diritti di autore.
Ma, sul presupposto che la situazione di partenza sia equivalente, il principio della libera circolazione delle merci è sacrosanto.
Ma i lavoratori non sono merci, sono persone e, in quanto tali, hanno esigenze ulteriori rispetto ad un “magazzino” in cui essere collocati.
Le persone hanno bisogno di socializzare, di scaricare anche le tensioni del lavoro giocando, distraendosi, dando sfogo alle proprie passioni ed ai propri interessi.
Questo porta, inevitabilmente, ad interagire con la società circostante, creando tensioni, modificando la struttura sociale in cui ci si inserisce “a forza”.
Di più.
Ogni posto di lavoro che in una nazione viene assegnato ad una persona di altra nazione, oltre ad importare un elemento estraneo al tessuto sociale autoctono, impedisce ad un locale di ricoprire quel ruolo, quel posto.
Innescando, in questo modo, altre tensioni, aumentando la disoccupazione, sottraendo ricchezza alla nazione ospitante per esportarla altrove.
Mi sembra, quindi, perfettamente naturale che, anche nel lavoro, si possa applicare un principio di prevalenza, un diritto di prelazione per i posti di lavoro, riservato ai lavoratori del luogo e solo se si rivelano in numero insufficiente alle esigenze, invitare con ogni cautela personale straniero.

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2 commenti:

Nessie ha detto...

Lapalissiano! E invece di incavolarci con gli inglesi dovremmo far proprio il motto ITALIAN JOB for ITALIAN WORKERS. Altrimenti non incavoliamoci se poi arrivano i romeni, gli albanesi, i magrebini con tutti i nessi e connessi.

sinedie ha detto...

Ma chi dovrebbe farla secondo voi una legge così in Italia? E, dopo, secondo voi supererebbe gli scogli parlamentari con l'attuale maggioranza? Sapete qual'è in percentuale su tutto il territorio nazionale l'ipotesi prevalente fra le nuove generazioni a proposito di lavoro, clandestini, globalizzazione e lavoratori extra comunitari? Non c'è alternativa: ditemi che sbaglio per favore.