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15 settembre 2008

Sindacato: Alitalia e dintorni

Dopo il cinquantesimo, o giù di lì, ultimatum, stasera torneranno a riunirsi governo, sindacati confederali (al tavolo dei quali si è ormai seduta anche l’ugl, la vecchia, gloriosa Cisnal ora sbiadito clone di cgil-cisl-uil) e i dirigenti della Cai.
Gli stessi soggetti che hanno raggiunto un “accordo quadro”, definito “carta straccia” dai sindacati autonomi di categoria, maggioritari nel settore.
Naturalmente non so come andrà a finire, anche se sono convinto che tutto procederà con gli “esuberi” definiti, lo scorporo della attività e la costituzione della “nuova” Alitalia, nei termini sostanzialmente voluti dal piano Fenice.
Questo è il frutto di un consociativismo che in una trasmissione radiofonica, questa mattina, ha fatto dire al prof. Santoro Passatelli, docente di diritto del lavoro alla Sapienza, che l’accordo deve essere trovato con i “sindacati maggiormente rappresentativi” e tali non del settore o dell’azienda in questione, ma a livello nazionale.
Questo fa sì che, per convenzione, non credo per numeri, cgil, cisl, uil e ugl, nonostante gli iscritti siano in maggioranza pensionati, vengano riconosciuti dalla controparte stessa come interlocutori.
Con quale forza contrattuale possiamo tutti immaginarlo.
Se io sindacato traggo la mia rappresentatività dal fatto che è la controparte che decide di darmela perché tratta con me e non con altri (l’oscenità inscenata dal governo che ha ricevuto a palazzo Chigi i confederali, esiliando altrove gli autonomi) allora è evidente che devo ricambiare con una disponibilità a firmare anche ciò che è palesemente contrario agli interessi dei lavoratori che rappresento.
Questa non è una peculiarità della sola Alitalia, ma la ritroviamo, in misura e modalità differenti, un po’ ovunque.
Se i sindacati autonomi di categoria, maggioritari, si rifiutassero di sottoscrivere gli accordi cosa accade ?
Quegli accordi passano ugualmente con la firma dei confederali i quali soli avranno l’agibilità politica di gestirne gli effetti, con l’estromissione degli autonomi.
La conseguenza di questo è ancora più grave di quel che abbiamo visto in precedenza.
Se un lavoratore avrà bisogno di qualcosa previsto dal contratto e si rivolgerà al suo sindacato autonomo, l’azienda neanche riceverà quel sindacalista o, se lo ricevesse per evitare noie ai sensi dell’art. 28 della legge 300/70, non gli fornirà né risposte, né dati perché, non avendo quel sindacato firmato il contratto, non può gestirlo.
Il risultato è duplice.
Il lavoratore che ha bisogno di assistenza si rivolgerà ad un confederale, rinforzando la casta, il sindacato autonomo, per sopravvivere, sarà costretto a firmare “per adesione” il contratto, con una ben misera figura politica e senza fare gli interessi dei lavoratori.
In buona sostanza – e la firma dell’accordo quadro lo conferma, a prescindere da quel che accadrà che commenteremo a tempo debito – da un lato le aziende ottengono l’avallo sindacale per le loro politiche, magari con qualche “concessione” già preventivata (e il mio sospetto è che in molte occasioni vi siano incontri per concordare punti di partenza, obiezioni e livello del compromesso), dall’altro i sindacati confederali ottengono un rafforzamento del loro oligopolio, rafforzando un sistema di potere che si fonda anche su forme di finanziamento agevolate quando non sollecitate dalle stesse leggi dello stato.
A rimetterci sono due categorie: i lavoratori che vedono sistematicamente sottoscrivere accordi in perdita e i contribuenti italiani chiamati a ripianare la politica della privatizzazione degli utili e della socializzazione delle perdite.

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